Esclusivo: i piani di Regione Lombardia per l’Oltrepò pavese. Dall’aumento del valore delle uve ai tre vini (+1) su cui puntare

Al vaglio anche un “codice etico” da far sottoscrivere ai produttori per il rilancio comune del territorio


MILANO –
Un codice etico per tutte le aziende del territorio. Più valore alle uve. E tre “vini bandiera” (più uno), attorno ai quali costruire il nuovo Oltrepò pavese: il Metodo classico Docg, il Pinot Nero in rosso, la “nicchia” Buttafuoco e il “vino pop” Bonarda. Trapelano da Palazzo Lombardia le prime indiscrezioni sui piani utili al rilancio dell’area vinicola più vasta della regione.

Poco meno di 13 mila ettari vitati – più dell’intero Trentino Alto Adige e della Svizzera, per intenderci – situati a soli 57 chilometri da Piazza Duomo, che non possono restare ancora a lungo alla mercé dei commercianti d’uva e degli imbottigliatori.

Regione ed Ersaf intendono puntare sulla valorizzazione del territorio e del terroir, sfruttando gli studi sulla zonazione che, tra la fine degli anni Settanta e il 2010, hanno confermato la “plurale vocazionalità alla produzione di vini di alta qualità”.

“Probabilmente – si legge sul documento su cui stanno lavorando le istituzioni locali – l’importanza sempre più rilevante degli stakeholder commerciali (gli imbottigliatori) sui restanti, senza un adeguato patto territoriale, ha finito per orientare alla riduzione dei valori delle uve e dei vini”.

Circa il 60% delle uve prodotte sono vinificate da 4 cantine sociali (Terre d’Oltrepò, Torrevilla, Canneto e La Versa), mentre sono 150 le aziende private “ben strutturate”, nelle quali è tangibile “il savoir faire locale”, anche grazie a uno “svecchiamento delle imprese avvenuto negli ultimi 15 anni”.

Realtà tra le quali è però evidente uno scollamento totale, che genera – come si legge ancora sul documento – la mancanza di “un quadro unitario”, di “una governance di sistema” e di “standard di eccellenza condivisa“.

UN TERRITORIO IN PERDITA
Risultato? I dati sconcertanti che riguardano i guadagni per i produttori oltrepadani di uve, che “si sono ridotti drasticamente negli anni: “Molti, oggi, già producono in perdita“, ammette il Palazzo.

Secondo i dati in possesso dei tecnici di Regione Lombardia e di Ersaf, “i costi ad ettaro comprensivi degli ammortamenti sono prossimi a 7 mila euro”. A fronte di ricavi stimabili in circa 6 mila euro all’ettaro.

“Anche ammettendo alcune possibili riduzioni dei costi, ad esempio con la vendemmia meccanica, appare evidente il problema di un prezzo delle uve troppo basso“, si può leggere ancora. In Oltrepò la media produttiva è infatti di 120 quintali all’ettaro, pagati mediamente 50 euro al quintale.

Prezzi che assomigliano molto – e in alcuni casi sono addirittura inferiori – a quelli della contrattazione tra privati in territori come la Puglia o la Sicilia. Un aspetto che evidenzia l’assoluta mancanza di responsabilità sociale da parte dei maggiori stakeholder locali, disinteressati al bene delle Denominazioni oltrepadane.

“La mancanza di un accordo per il territorio fra commercianti, vinificatori e viticoltori che favorisce l’instaurarsi di prezzi troppo bassi, non solo per le uve, ma anche per i vini, i quali escono dal territorio perlopiù sfusi. Prezzi molto diversi da quelli cui potrebbe ambire il territorio”, ammettono candidamente Regione Lombardia ed Ersaf.

D’altro canto, sempre secondo l’analisi dei tecnici, “non è percorribile in Oltrepò pavese un modello produttivo aziendale basato su una elevata produttività di uve per ettaro, anche se poco pagate”. “In altre zone ove detto modello ha avuto successo si riescono facilmente a produrre 300 quintali all’ettaro”, contro i 110-160 oltrepadani.

Colpa (o merito, a seconda dei punti di vista) delle caratteristiche morfologiche di un territorio in cui, la quasi totalità della viticoltura, è in pendenza talvolta anche forte. Con la meccanizzazione resa così inapplicabile.

Tra i macro obiettivi delle istituzioni regionali, dunque, “l’individuazione di un percorso di medio/lungo periodo (da 5 a 15 anni) che nel breve non porti ad abbassare ulteriormente i prezzi delle uve/vini; coinvolga tutte le tipologie di aziende e sia inclusivo; sia basato su obiettivi parziali misurati da indicatori specifici”. E tra le azioni possibili ecco che spunta la “creazione e promozione di un marchio territoriale“.

I VINI DA CUI RIPARTIRE. TRA TESTIMONIAL E FICTION

Spazio alle eccellenze, dunque, come quelle rappresentate dal Pinot Nero (Metodo classico o vinificato in rosso) e del Buttafuoco. Ma tra i vini sui cui puntare nell’immediato non può mancare il Bonarda.

O, meglio, una “nuova Bonarda, di alta qualità“, che vedrebbe potenzialmente coinvolti 1.409 cantine, per un volume complessivo di 140.902 ettolitri e quasi 19 milioni di bottiglie da 0,75 cl (18.911.536 per l’esattezza).

Un prodotto che subirebbe, come gli altri, un nuovo posizionamento nei vari settori commerciali (Gdo, Discount, Horeca). Per la cui promozione, capace di coinvolgere tutto il territorio, potrebbe essere individuato “un testimonial famoso che faccia da richiamo”.

Qualcuno come Eugenio Ghiozzi, in arte Gene Gnocchi, osiamo anticipare noi di WineMag.it, senza contare l’ormai scontato (e scontabile) Gerry Scotti, ormai vicino all’auto inflazione per i continui spot tv (non dichiarati) alle proprie etichette di vino oltrepadano in vendita in alcuni supermercati.

Vicino al Club del Buttafuoco Storico e caro a diversi produttori locali, Gnocchi – comico e personaggio tv di orgini parmigiane – ha già condotto il 23° compleanno del “Veliero” a Milano.

La “nuova Bonarda” potrebbe essere poi “vestita con un luogo/marchio unico e riconoscibile”, identificata con “una bottiglia specifica del vino brand unica per tutti i produttori” e promossa anche “in eventi di particolare rilievo e seguito, come eventi sportivi e fiction tv“.

Al vertice assoluto, invece, l’Oltrepò pavese Metodo classico Docg (1.239 produttori che hanno utilizzato la Denominazione, 8.102 ettolitri e 453.131 bottiglie da 0,75), il Pinot Nero dell’Oltrepò (218 cantine, 7.773 ettolitri e 282.625 bottiglie da 0,75 cl) e il Buttafuoco “come prodotto di nicchia e unico”: 150 produttori, 3.751 ettolitri e 375.991 bottiglie da 0,75 cl.

LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Spazio, nelle mire di Regione ed Ersaf, anche all’elemento territoriale Oltrepò, “che può contare su tanti elementi positivi quali il paesaggio, gli elementi storici e culturali, la posizione non lontana dalle vie di comunicazione” e “l’essere attraversato dal 45° parallelo“.

“Per le azioni sulle singole filiere – riporta il documento ufficiale – occorre attivare servizi di integrazione soprattutto per la valorizzazione dei prodotti enogastronomici, ma anche per le caratteristiche ambientali e storico socio-culturali che sarebbe in grado di generare marcati tratti distintivi dell’Oltrepò”.

Tra le azioni possibili, Regione ed Ersaf citano “fare rete tra aziende, Bed & Breakfast, itinerari turistici”, ma anche la “promozione nei locali di prodotti di territorio” e la “formazione degli operatori con corsi di inglese e accoglienza del cliente, fornendo servizi idonei per la scoperta del territorio come guide per tour”.

Si pensa inoltre alla realizzazione “di un portale di informazioni del territorio altamente innovativo sia come performance tecnologica sia come completezza delle informazioni che traduce in servizi”.

Inoltre alla “valorizzazione del territorio rendendolo attrattivo in base alle peculiarità intrinseche di tranquillità dei luoghi, percorsi trekking, bici e cavallo, terme, parapendio, arrampicata, tour in aziende vitivinicole, cammini religiosi e Via del sale percorribile fino alla Liguria”.

IL NODO DEL CONSORZIO

Il tutto, come previsto dal “codice etico” che dovranno sottoscrivere tutti i produttori, nel “riconoscimento della funzione pubblica e super partes” del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò pavese. Un organismo rigenerato dal ricomponimento della frattura con il Distretto di Qualità, ma che ancora non gode della fiducia totale dei produttori.

È il caso del gruppo, sempre più nutrito, guidato da Ottavia Vistarino (Conte Vistarino), col quale è ampiamente avviata la “trattativa” da parte di Regione Lombardia ed Ersaf. La posizione dei “dissidenti” è ferma e chiara.

Dopo tanti anni in cui le cose non hanno funzionato – dichiarava Vistarino in un’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it lo scorso 29 aprile – abbiamo perso la fiducia.

Quindi, prima tutte le parti condividono un progetto da mettere in mano ad un amministratore delegato, che accetti questo ruolo solo dopo aver condiviso con noi i punti focali per la rinascita dell’Oltrepò. E poi rientriamo nel Consorzio, con una nuova governance”.

“Una figura, quella dell’Amministratore delegato – continuava Vistarino – da individuare attraverso una specifica ricerca da parte di qualche cacciatore di teste, da incaricare appositamente. Siamo tutti consapevoli che l’organismo deputato a considerare le sorti del territorio debba rimanere il Consorzio e per questo assicuro che da parte mia non c’è alcuna voglia di creare nuove associazioni o distretti“.

“Piuttosto – concludeva la numero uno di Conte Vistarino – proporremo brand alternativi in cui si riconoscano le aziende di qualità dell’Oltrepò pavese, sul modello di quanto accaduto in Spagna col Cava“. Posizioni ancora attuali a distanza di oltre due mesi. Mentre tutto attorno, l’Oltrepò che crolla, tenta di riaprire le ali in vista della vendemmia 2019.

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